Giancarlo Cavallo
[…] Ceccarelli, infatti, con leggerezza surreale, inventa, quasi a partire da lapsus linguistici o condensazioni, un intero cosmo nel quale parte notevole rivestono appunto gli animali fantastici dall’Ucciaso al Piccolo drago, al Cerbero, al Trombicchiere, al Pescipede, alla Ninfa marina, all’Autofagoto, al Pesciscopio, al Vermesce, ecc.(tutti titoli fortemente evocativi e, come si vede, capaci di descrivere l’oggetto pur nella loro estrema sinteticità).
La prima mostra testimonia, attraverso le fotografie di particolari architettonici o musivi, una capacità di stupore collettivo solida ed elegante, pronta a credere all’immaginareità dell’universo, alla sua creazione dal verbo, a pietrificare nel simbolo l’esigenza imprescindibile del riconoscimento.
La seconda sembra piuttosto un raffinato barlume individuale, (auto)ironico e fragile, di quella creatività tanto esaltata ma purtroppo precipitata (per entropia) in una totale afasia. Per essa non ho potuto non pensare (e mi perdonerà l’autore se questi riferimenti gli sono estranei) da un canto alle Macchine di Munari, dall’altro al Manuale di zoologia fantastica di Borges, da un lato dunque alla creatività esaltata dalla unione improbabile di elementi estranei ed eterogenei, dall’altro al catalogo minuzioso, erudito, scientifico, di quanto gli umani, soprattutto attraverso la letteratura, sono stati in grado di immaginare o “vedere” in relazione al regno animale, all’inquietante mostruosità della natura.
Nell’immaginario di Ceccarelli, il mitologico e l’onirico reagiscono in un’alchimia che trova il suo giusto mezzo nel fuoco che trasforma la terra e il colore (che va dai neutri del raku agli intensi e vivaci della maiolica) nell’oggetto stralunato e irriverente, quasi una caricatura di quanto secoli di dogmatismo hanno finito per irrigidire e ridurre all’ordine razionale. Burlandosi della propria natura l’oggetto manu-fatto sfida attraverso una sorta di equilibrismo o acrobazia verbale le leggi della fisica, liberandosi da residui di utilitarismo e da incrostazioni di intellettualismo.
A suo modo, il sogno di Ceccarelli libera dalla pietra il mostro dell’immaginazione che per secoli è rimasto imprigionato e lo restituisce al gioco e, conseguentemente, al rischio (le hazard cui fa riferimento la Zuliani nel suo intervento in catalogo) che ad esso è imprescindibilmente connaturato.
Insomma, la cifra di Ceccarelli è la leggerezza (quella di cui parla Italo Calvino nella prima delle sue Lezioni americane, ma con voluti ammiccamenti a generi minori quali l’illustrazione. il fumetto e il disegno di animazione), confermando quella predilezione già mostrata con i Volanti; quella del bestiario medievale è invece la solidità (dei materiali ma anche delle proprie radici culturali). Qualità, l’una e l’altra, che sembrano, nella loro essenza profonda, sgradite o sconosciute al nostro tempo. Forse è per questo che entrambe le occasioni mi sembrano destinate a pochi sguardi giovani, curiosi e liberi..
Infine mi perdonino i curatori per aver accostato cose così distinte e distanti negli intenti e negli esiti: non era mia intenzione creare confusione, ma semplicemente aggiungere un ulteriore punto di vista che arricchisse entrambe le proposte, cogliendone analogie e contrasti, per suggerire a quanti posseggono strumenti critici più adeguati dei miei, un altro segmento di analisi.
Francesco D’Episcopo
L’uomo, l’animale, l’uomo che è nell’animale, l’animale che è nell’uomo, oltre la evidente, o misteriosa, referenzialità di taluni elementi, come quegli occhi rossi, bulbi di vita e di passione,nella materia ceramica trovano il loro più intimo e intenso punto d’incontro. La materia, sperimentata all’infinito nella sostanza di elementi che possono stare insieme, impone, alla fine, la sua forma imprevista, inedita, assoluta e, allo stesso tempo, relativa per il sopraggiungere di un nuovo elemento, umano o animale non importa, perché l’arte conserva la miracolosa capacità di congiungere, di creare nuove nature, racchiuse nel bulbo magnetico dell’artista.
Geppino Siano
Livio Ceccarelli, artista e grafico pubblicitario, si cimenta da anni nella creazione di forme ceramiche con la tecnica raku.
Le sue creazioni singolari hanno due soggetti predominanti: i vasi invasati, che egli ottiene con la sovrapposizione di più elementi e hanno come riferimento un’idea esotica e fantastica del vaso,e una serie di bestiari, ironici coevi, la cui tradizione ha radici nei grilli gotici, o nei grilli antichi della glittica romana e, andando ancora più a ritroso, si ritrova nella terracotta delle divinità senza testa e con la faccia sul tronco, o nei geni multicefali, o nei grappoli di teste dei persiani e degli sciiti, negli scarabei sardi e nei primi elmi con maschere e cimieri zoomorfi.
L’architettura esotica dei vasi in qualche modo rientra anch’essa nel mondo fantastico di Livio. Essa richiama alla mente i grafemi complessi degli artisti inchiostratori con china degli anni ’70 e ’80, i cui temi gotici, attraverso paesaggi irreali o architetture complesse e reticolari i cui ambienti erano disseminati da presenze immaginarie, avevano trovato la loro divulgazione nel mondo del fumetto raffinato e colto.
La tecnica raku sostiene Livio nella creazione delle sue forme fantasiose, infatti, l’originalità del suo colore — a parte le attuali sperimentazioni condotte anche con cristalli, ossidi e smalti — viene valorizzato anche con voluti craquelette dovuti a trattamenti naturali con materiali combustibili.
Le sue architetture smontabili di vasi o l’elevazione di scrigni in maiolica, come gli stessi bestiari, del resto, rientrano nelle teorie gotiche di Villard de Honnecourt in cui tutto diventa elemento ornamentale e le proporzioni da applicare all’arte le calcola l’artista e, sicuramente, queste non avranno una corrispondenza nella realtà classica del mondo greco-romano.
Ecco come nascono le trasformazioni ironiche dei vasi o delle ciotole di Livio che acquisiscono forme antropomorfe o di caricatura zoomorfa molto vicine a quelle dei cartoon.
I grilli di Livio richiamano quelli del passato e, infatti quando sorsero si dice che fossero stati generati dalla contaminazione di varie stirpi, le cui principali erano o le teste moltiplicate o le teste con gambe, questa spostata dalla collocazione originaria.
È seguendo questo filone creativo che l’artista ripropone, con ironia, il tema del grillo nel contemporaneo e li chiama Uccivaso, Pesciscopio, (che dovrebbe avere una forma più antropomorfizzata ad esempio e ce ne vogliono altri), o inventa dimore fantastiche come La casa del mago, La casa del sufi, Casaliana, o personaggi fantastiche come e, attraverso la rivolta degli oggetti di Bosh e Bruegel — pittori questi di altri grilli — si passa facilmente alla serie di utensili animati come il Tombicchiere o la Torrefiore (vanno messi almeno gli occhi o la bocca per diventare un vero bestiario) fino ai vasi zoomorfi (da fare), rovesciando il concetto antico che voleva il vaso costruito solo sulla differenza di misure dovute alle diverse dimensioni o tipologie dei volti umani. L’oggetto d’uso quotidiano, comunque, nel passato della pittura vascolare, assumeva anche il carattere di racconto, attraverso la fiction figurativa, e Livio invece oggi ce lo ripropone come elemento ornamentale o come raccolta di un bestiario coevo.
Gabriella Taddeo
Fra due elementi naturali oscilla la produzione artistica di questa polivalente personalità creativa, creando lungo il percorso analogie, somiglianze, corrispondenze.
L’acqua è l’elemento che ha prevalso per un lunghissimo periodo della sua crescita artistica dando luogo ad una serie acquerellata dai toni immaginifici.
Ognuna delle sue opere dipinte sembra uscire dai fogli di un libro illustrato o di un film d’animazione le cui caratteristiche sono la cura estrema, la ricercatezza del disegno e l’equilibrio armonioso del colore.
Il fuoco rappresenta invece per Livio Ceccarelli l’altra polarità cui è approdato da qualche anno con alacre, inarrestabile volontà sperimentale e lo ha portato ad una produzione di ceramica raku che ha un suo segno singolare, una impronta particolarissima, in un’unica definizione, uno stile proprio diverso dal repertorio ceramico seriale e ripetitivo, dagli stilemi standardizzati provenienti dal passato.
Il raku è una antichissima tecnica che nasce nel XVI secolo in Giappone all’interno della tradizione della cerimonia del the presso la casta dei monaci e dei nobili, espressione della filosofia zen, poi diffusasi in Occidente a partire dagli anni sessanta.
Si distingue per la peculiarità dei rivestimenti e degli effetti metallici dovuti a riduzione con materiale combustibile.
Senza l’aiuto di particolari strumenti la foggiatura viene eseguita a mano trasmettendo alla materia la individuale sensibilità ed espressività e facendo di questa tecnica uno strumento fondamentale nel campo della creatività ceramica in tutto il mondo.
Architetture gotiche, forme dal sapore orientale, una essenzialità del colore caratterizzano la serie di questi vasi “invasati” realizzati da Livio Ceccarelli. Una sottigliezza della materia, uno studio meticoloso del dettaglio (così difficile da realizzare in campo ceramico) li accomunano alla serie del bestiario e dei personaggi fantastici.
Nel tentativo di rispondere alla crisi di identità, al processo di svuotamento che ha subito il campo della ceramica oramai da alcuni decenni puntando su nuove capacità inventive che uniscano l’idea alla manualità, il Museo di Ogliara si propone ancora una volta come spazio dinamico volto alla ricerca ed alla sperimentazione più che come tradizionale e polveroso contenitore di oggetti sempre uguali e rivolti ad una ristretta cerchia elitaria di utenti.
Antonello Tolve
Fantasie d’avvicinamento
«tutto è papier mâché, e tutti sono
veramente distrutti dalla sofferenza – (bisogna
aiutarsi con la fantasia, con un gesto veramente nobile)»
Bobi Bazlen, Il capitano di lungo corso
Spiritosi e spigolosi, ironici, cromaticamente erotici e squillanti. I lavori proposti da Livio Ceccarelli nascono da una gestazione che fa i conti con il mondo della vita per ribaltare (o evidenziare, a volte) il luogo comune e ricamare una trama formativa che declassa e indebolisce i paesi della ragione per addentrarsi, con eleganza, nei territori del meraviglioso e nei sentieri ininterrotti della fantasia.
Screpolando la vernice della realtà l’artista propone fantasie d’avvicinamento a mondi paralleli e irraggiungibili conquistati, questi, attraverso il ponte delle associazioni libere e, sotto alcuni aspetti, dell’automatismo psichico. Un metodo d’indagine che piega e trasforma – grazie ai mezzi di cui si serve il lavoro onirico per trasfigurare le fondamenta ideative e intime del sogno – i lacerti quotidiani in elaborazioni formali che difendono il nonsense e creano vivaci equilibri tra forme e tendenze in contrasto tra loro.
Condensazione, spostamento e trasformazione espressiva del pensiero in immagini visive e simboliche (i luoghi freudiani del sogno, appunto), sono la pista trinitaria battuta da Ceccarelli per generare un pazientissimo lavoro di scavo che consente all’artista di incrinare le barriere del proibizionismo o della censura e operare verso il recupero del desiderio mediante un cifrario di rimandi continui a situazioni e a paradossi reali, a piccole imperfezioni, a lapsus e a Witz , a dettagli che non solo richiamano alla memoria il primus movens della creazione artistica ma evidenziano anche un atteggiamento linguistico svincolato da preconcetti grammaticali e da costruzioni tradizionali.
Addensati in corpi argillosi che saltano il fosso dell’evidente per calibrare lo sguardo del fruitore lungo le piste maestre dell’immaginazione, l’artista utilizza generosi engrammi mnestici estesi alla materia culturale mediante escamotages visivi che danno alla luce un sostituto abbreviato e deformato della realtà.
Piccoli sgorbietti strappati al mondo della fumettistica, pesci scarniti, dilatati, automizzati. Elefantini, pseudo-ornitorinchi o lepidi cinghialetti. Ippopotami e galli reinventati secondo un gusto estetico che elogia il disequilibrio. E poi, ancora, deliziosi mostriciattoli nati dalla rivisitazione di un film kult, Star Wars (1977), diretto da Gorge Lucas.
Da Bimarsupiale (2009) a Vasinvasato (2009), da La luna nel pozzo (2009), da Cavalloide (2009) a Vasinvasato Animato (2010) per arrivare, man mano, a Vasinvasato Animato Caudoflatuato (2010), a Pesce Esteso (2010) e Lisca Meccanica (2010) – volendo citare soltanto un breve e orientativo defilé di opere –, il bestiario proposto da Livio Ceccarelli sterza bruscamente sulla tangenziale della fantasia per produrre una serie di corpi scultorei che, se da una parte richiamano le forme della tradizione oggettistica ceramica – il vaso, la brocca, il boccale, il piatto ecc. – dall’altra ne stravolgono e ne rideterminano considerevolmente gli statuti interni per dar vita a neoforme e neoformule d’una potenza creativa e d’un’intelligenza intellettuale altamente vivace, suadente, leggera (secondo il valore indicato da Italo Calvino).
Oltre al discorso sulle forme e sulle didascalie, anche i pigmenti adottati per rivestire le sue ceramiche – pigmenti ruvidi, porosi, volutamente screpolati – fanno parte di una ricerca individuale che l’artista porta avanti da oltre quindici anni per ritrovare nell’imperfezione programmata della velatura cromatica e nella povertà dello smalto un potente e massiccio ordine alfabetico teso a incrinare la logica della perfezione e dell’armonia classica per approdare, tramite i sentieri dell’irregolare, del discordante e del disarmonico, ad un gusto che definirei, sotto alcuni aspetti, neoetrusco. Legato, cioè, a canoni espressivi e a modelli formali liberi dal bello di matrice greca (si pensi, ad esempio, al Fegato di Piacenza, alla Chimera di Arezzo o alle straordinarie Ombre della sera conservate nel Museo Guarnacci) e dunque aperto a formule visive disarmoniche, imperfette e originali, a guarnizioni popolari ben radicate nel quotidiano, alla riconquista di componenti arcaici tendenti, fortemente, alla natura selvaggia e fantastica della vita .
Persona schiva e disadorna, aperta, tuttavia, alla delicatezza del motto di spirito, e cioè ad una riduzione e a una anestesia peridurale delle inibizioni (Hemmugen) che consente di liberare una tensione psichica ottenendo un alleviamento del dispendio psichico già in atto e risparmio su quello in procinto di verificarsi , Ceccarelli costruisce, così, una geografia mentale che salta e ribalta gli incontri quotidiani per amalgamare, via via, l’ingrediente fantastico e quello ironico ad un sapere tecnico senza pari che genera atmosfere fiabesche, arguzie e agevolazioni linguistiche intrecciate ad una materia simbolica e mitica. Ad un pensiero visivo (Bildhafte Denken), ad un barbaglio immaginifico-intuitivo, geneticamente denso, fecondo, sottile.
Cfr. S. Zuliani, Immagini della metamorfosi, in Livio Ceccarelli. Dall’acqua al fuoco, cat. della mostra tenuta a Ogliara negli spazi del Museo Città Creativa (08/12/2006-25/01/2007), Salerno 2007.
G. K. Chesterton, The Defender, Cassel and Company, London 1901.
S. Freud, Der Witz und seine Beziehung zum Unbewussten, Imago, London 1940, poi Fischer, Frankfurt am M. 1956, p. 196ss. Cfr. anche A. Trimarco, Itinerari freudiani. Sulla critica e la storiografia dell’arte, Officina Edizioni, Roma 1979, e, particolarmente, il capitolo 2, L’irruzione del Witz, pp. 41-57.
Secondo la definizione proposta dal neurologo inglese Richard Semon (già nel 1909) ciascun evento esperienziale agisce sulla materia cerebrale lasciando su di essa una traccia: l’engramma appunto. Partendo da questa analisi che Semon applica alla materia nervosa dell’individuo, Warburg estende il tiro alla memoria culturale. L’engramma diventa, così, simbolo e immagine in cui si riconoscono una carica energetica e una esperienza emotiva che rimangono impresse nella memoria culturale come segno persistente. Cfr. R. Semon, The Mneme, George Allen & Unwin, London 1921 e Aby Warburg, Mnemosyne. Grundbegriffe, II, 2 luglio 1929, London, Warburg Institute Archive, III, 102.4. Si veda anche Mnemosyne. L’Atlante di Aby Warburg, cat. della mostra tenuta a Venezia (Fondazione Ugo e Olga Levi) dal 20 marzo al 2 aprile 2004, a cura del Seminario di Engramma, Università IUAV, Venezia 2004.
Cfr. almeno R. Bianchi Bandinelli, L’arte etrusca, Editori Riuniti, Roma 1982, L. Cerchiai, B. d’Agostino, Il mare, la morte, l’amore. Gli Etruschi, i Greci e l’immagine, Donzelli, Roma 1999 e M. Cristofani, Etruschi. Una nuova immagine, Giunti, Firenze 2000. Si vedano, inoltre, G. Dorfles, Le oscillazioni del gusto. L’arte d’oggi tra tecnocrazia e consumo, Einaudi, Torino 1970 (e particolarmente il capitolo tredicesimo in cui l’autore ammonisce quella critica – e chi scrive concorda appieno – che, posta «di fronte a opere del passato che “ricordano” alcuni motivi dell’arte d’oggi – si estasia considerando tali opere “così moderne” come se fosse un merito di quegli antichi artefici aver “previsto” certi gusti della nostra epoca» p. 112); Id., Nuovi riti, nuovi miti, Einaudi, Torino 1965.
S. Freud, Der Witz, cit.
Stefania Zuliani
Immagini della metamorfosi
Gli attraversamenti che da quasi trent’anni Livio Ceccarelli compie nei territori sconfinati dell’immagine – accanto al costante lavoro legato alla comunicazione grafica e all’editoria, sono la fotografia, il disegno, la pittura, la scultura i linguaggi che in tempi diversi hanno scandito la sua pratica creativa – posseggono la qualità, rara, del diletto, di un piacere per nulla ozioso o ingenuo ma sempre coltivato con pazienza e fatica, un fare libero da obblighi e necessità che nulla concede, però, all’improvvisazione, all’approssimazione perché, è stato Valèry a sottolinearlo, non c’è cosa più lontana dalla creatività di una spontaneità irriflessa, di un gesto immediato e occasionale.
Ben prima di approdare alla ceramica, cui da qualche tempo affida, con cresciuta consapevolezza, il suo pensiero di sognatore definitivo, Ceccarelli ha dunque incrociato con tenace passione tecniche e materiali differenti, sperimentando l’acquerello, tra tutti, probabilmente, il genere più assiduamente frequentato, e la pittura ad olio ( è di qualche anno fa la serie degli angeli), senza neppure trascurare la scultura, dipinta e architettonica nei volanti, agili sagome in legno disponibili a mille combinazioni, decisamente decorativa nei piccoli oggetti in legno, in pietra o in plastica colorata realizzati a partire dagli anni ottanta: pratiche disparate che, tutte, testimoniano di una manualità avvertita e instancabile, di un talento creativo costantemente esercitato che si muove sotto il segno, vitale e neppure troppo segreto, di un’incessante metamorfosi. Una trasformazione meravigliosa, carica di desiderio e di sfida, giocosa e, dunque, studiatissima anche negli azzardi del caso, che non conosce altri limiti e ragioni che non siano quelli dettati da un rispettoso dialogo (un corpo a corpo) con le possibilità e i vincoli, comunque ridiscussi, delle tecniche e dei materiali.
Così, anche quando le linee si mostrano più nette e i colori più fermi, quasi assoluti nella loro brillantezza di seta, anche quando le diverse materie, comunque amate e quindi tradite, esibiscono senza equivoci trasparenze e opacità, quello di Ceccarelli si rivela sempre un universo visionario e mutante, abitato da creature anfibie, uomini e dèi, mostri ed eroi di mitologie sconosciute, animali e piante meticce, macchine celibi di complessa improduttività (e basterà ricordare L’autocefalo a maltovella della serie, deliziosa, dei “Tarocchi del Tatum”) che, assieme, mettono in scena una drammaturgia plurale e irridente, generosa di colori da toccare, sensuale ed anche spiritosa, più di rado inquietante. È uno scenario fantastico, un’architettura di forme saturnine e instabili che ora non si sviluppa più soltanto sulla carta stampata o sulla superficie porosa degli acquerelli ma prende forza nella densità calda della ceramica, nelle sue forme e sulla sua pelle, preziosa di segni strappati par hasard dalla crudeltà rischiosa quanto necessaria del fuoco.
L’incontro recente con la ceramica, con la tecnica raku, soprattutto, il cui cerimoniale inflessibile rappresenta per ogni ceramista una sfida e una promessa ineludibili, è dunque il luogo attuale di verifica e di conferma di un pensiero dell’arte che, lontano da ogni intenzione concettuale, non rinuncia all’intelligenza del corpo, al sapere delle mani, che è, certo, rigore e disciplina (lo attestano, tra l’altro, i progetti editoriali di Ceccarelli, meticolosi per equilibrio e misura) ma anche invenzione e poesia, se poi davvero la stessa geometria, contraddicendo per sempre l’aspra asciuttezza di Cartesio, ha saputo prodursi, spericolata, in straordinarie misure e forme barocche.
I vasi invasati, lentamente imbastiti a colombino o calibrati al tornio, le piccole e grandi creature marine di maiolica, esemplari tutti diversi di una zoologia immaginaria e sorridente, come pure la serie dei ritratti impossibili, psicoritratti (così li chiamava un tempo l’autore) che sono poi sempre, più o meno consapevolmente, autoritratti, schegge di quel “narciso infranto” che, ha scritto Alberto Boatto, è figura dell’artista moderno, sono le declinazioni ultime di una poetica dell’ibrido e del meraviglioso che, pur nutrendosi di riferimenti letterari disparati e puntuali – dal simbolismo alla fantascienza, dalla saga di Tolkien alle finzioni borgesiane senza dimenticare la grande tradizione del fumetto, Bilal e Moebius, specialmente -, non si è lasciata irretire dalle lusinghe facili dell’illustrazione orientandosi piuttosto alla definizione, mai completa, di una cifra poetica personale, sperimentata ogni volta attraverso tecniche sempre nuove.
“L’ignoto non ha teorie/ attorno allo spreco” ha scritto nei suoi versi “nati senza madre” Francis Picabia, raffinato costruttore di segni e di sogni irriverenti, e quella che oggi Livio Ceccarelli compie nel suo stipatissimo laboratorio-studio, stracolmo di smalti, colori, ossidi, crete, pennelli, strumenti ed esperimenti, frammenti, prove di cottura, carte, metalli, cd, cenere e sigarette, è, di nuovo, un’avventura ingegnosa e célibataire, tanto indifferente alle spietate strategie che governano il sistema dell’arte quanto refrattaria ad ogni genealogia che pretenda di legittimarne per forza di stile le ragioni e i successi. Un’esperienza di ricerca e di stupore, di scoperta e creazione che Ceccarelli ha scelto finalmente di condividere e mostrare in acquarelli e ceramiche senza per questo rinunciare al piacere, sottile e perturbante, della continua metamorfosi, alla felicità sconsiderata e piena della dissipazione, alla gratuità perfetta del gioco perché “la volontà attende senza sosta/un desiderio e non lo trova”.